giovedì 18 novembre 2021

NOI ADULTI A CHE GIOCO GIOCHIAMO?

 

NOI ADULTI A CHE GIOCO GIOCHIAMO?

Dott.ssa Paola Scalco, psicologa, specialista in Psicoterapia Cognitiva e Sessuologia Clinica

 

 


“No! Io non gioco, perché poi se perdo, mi uccidono!”

Il gioco è il classico 1-2-3…stella!

Il luogo è il cortile di una scuola primaria italiana.

Il bambino che si rifiuta terrorizzato di giocare è un alunno della prima classe, che ha perciò all’incirca 6 anni.

In queste ultime settimane, scene come questa si ripetono un po’ in tutte le scuole primarie (e tante scuole dell’infanzia) italiane. Giochi apparentemente innocenti diventano il pretesto per agire comportamenti aggressivi e per nulla rispettosi, in un periodo storico come quello attuale in cui i nostri bambini hanno già tantissimo da recuperare in fatto di socialità e costruzione di legami positivi.

 

Cosa sta accadendo? Quale nuovo “virus” sta circolando?

Si tratta dell’influenza dilagante della serie tv sudcoreana Squid Game, che in realtà la stessa piattaforma di streaming che la trasmette segnala come adatta ai maggiori di 14 anni. Nonostante ciò, bypassando il controllo dei genitori con l’ausilio dei vari social, è diventata virale anche tra i più piccoli, con effetti manifestamente deleteri a causa dei suoi contenuti.

Racconta di 456 adulti con alle spalle fallimenti, povertà, emarginazione sociale, dipendenze come la ludopatia, che accettano di partecipare a delle sfide basate sui giochi dell’infanzia, per poter estinguere i loro debiti. In un contesto sociale sessista e fondato sul potere, chi perde viene ucciso da guardie mascherate, mentre chi riesce a sopravvivere vince una ingente somma di denaro.

La violenza viene banalizzata, con scene di torture fisiche e psicologiche e la morte non risulta essere la cosa peggiore che possa capitare, a confronto delle brutture che caratterizzano le vite dei protagonisti. Senza dimenticare il potenziale traumatizzante di certe scene e il discutibile ascendente che certe pessime dinamiche relazionali potrebbero avere sui giovani spettatori.

 

Per cercare di arginare tale fenomeno, la Fondazione Carolina (Onlus nata per ricordare Carolina Picchio, prima vittima italiana di cyberbullismo e ispiratrice della Legge 71/2017 “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”) ha provocatoriamente lanciato sulla piattaforma Change.org una petizione per bloccare la visione della serie tv. L’intento è principalmente quello di cercare di colmare il vuoto che porta tanti genitori a delegare ai social e al web l’educazione dei propri figli, illudendosi che non abbiano bisogno di una guida per il loro utilizzo consapevole e sicuro e trascurando o ignorando i limiti di età da essi posti (ad esempio, l’età minima per aprire un profilo su Tik Tok e su Instagram è di 13 anni, su WhatsApp e Telegram è di 16 anni). Restrizioni che discendono dalla convinzione che un utente possa avere i mezzi e l'esperienza per interfacciarsi con quel mezzo solo una volta raggiunta quell'età, ma quanti sono i bambini della primaria o i ragazzini della secondaria di primo grado che violano tali limiti? E con quali conseguenze, a breve e a lungo termine?

 

Sempre con lo scopo di ridurre gli effetti negativi di questa recente “mania”, sulla pagina facebook della Polizia Postale è stata pubblicata una serie di consigli rivolta ai genitori:

1.    Ricordate che la serie Squid Game è stata classificata come VM 14 ovvero vietata ad un pubblico di età inferiore a quella indicata. Questa limitazione indica che i suoi contenuti possono turbare i minori con intensità variabile a breve e lungo termine.

2.    Valutate se possa essere utile guardare la serie prima di esprimere assenso o dissenso alla visione dei vostri figli che hanno più di 14 anni: sarete più precisi e consapevoli di quali siano gli elementi critici su cui poggia la vostra decisione e potrete argomentarli in modo convincente ai vostri figli.

3.    Parlate in famiglia della serie, chiedete ai bambini/ragazzi cosa ne pensano in modo che, anche se non hanno il permesso di vederla, siano in grado di partecipare ad eventuali commenti e discussioni con i coetanei.

4.    Ricordate ai bambini/ragazzi che quanto rappresentato nelle serie è frutto di finzione e che la violenza non è mai un gioco a cui partecipare.

5.    Tenete sempre vivo il dialogo familiare sui temi dell’uso delle nuove tecnologie con i ragazzi: ponete loro domande e ascoltate come la pensano. I nativi digitali hanno una visione differente da quella degli adulti e può essere utile conoscere il loro punto di vista sui rischi e sui fenomeni emergenti.

6.    Se avete contezza che stanno circolando tra i bambini/ragazzi giochi violenti che imitano quelle ritratte nella serie, non esitate a segnalare la cosa a www.commissariatodips.it/

 

In generale, va sempre tenuto presente che riguardo l’utilizzo dei vari dispositivi tecnologici, è indispensabile presidiare il COSA, il QUANTO e il QUANDO perché compito di ciascun genitore è favorire la crescita dei propri figli, trovando il giusto compromesso tra la libertà, la necessità di controllo e il bisogno di accudimento.

 

 


martedì 19 ottobre 2021

LA CARRIERA ALIAS COME PREVENZIONE DEL BULLISMO TRANSFOBICO

 














LA CARRIERA ALIAS COME PREVENZIONE DEL BULLISMO TRANSFOBICO

Dott.ssa Paola Scalco, psicologa, specialista in Psicoterapia Cognitiva e Sessuologia Clinica

 

Da mesi si discute di quanto la DaD (Didattica a Distanza) e la DDI (Didattica Digitale Integrata), conseguenti alle alternate chiusure delle Scuole e delle Università in questo lungo periodo pandemico, possano aver avuto conseguenze nefaste sulla preparazione culturale e sulla psiche di ragazze e ragazzi.

Alcuni di loro hanno avuto un motivo di sofferenza in più, che non ha però avuto la rilevanza che a mio avviso avrebbe meritato. Le persone trans si sono trovate costrette a seguire le lezioni online con una piattaforma su cui era riportato il loro nome anagrafico, mentre magari la webcam mostrava un aspetto ad esso non congruente, alimentando le occasioni di cyberbullismo e violenza psicologica, che nel periodo emergenziale di fatto hanno avuto una crescita notevole.

Naturalmente, la situazione ha solo reso più evidente un fenomeno ampiamente diffuso anche quando le lezioni o gli esami si svolgono in presenza: la discrepanza tra l’aspetto fisico e il nome sui documenti è spesso fonte di disagio, discriminazione e stigma e comporta un perenne outing di un’esperienza intima e personale.

Inoltre, venire identificati dagli altri in base al proprio sesso biologico e non secondo la propria identità sessuale, genera continua frustrazione e stress cronico, che hanno un impatto considerevole sul proprio equilibrio psicologico.

Non è un caso che, in generale, tassi di abbandono scolastico e percentuali di tentativi di suicidio siano significativamente maggiori in tali gruppi di popolazione.

La diffusione nelle Scuole Superiori e nelle Università della carriera alias rappresenterebbe un’iniziativa e un impegno concreti che vadano oltre le celebrazioni periodiche di giornate di sensibilizzazione e che aiutino a rendere possibile la piena realizzazione della persona come espresso nella Costituzione e si basino sul rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, sull’uguaglianza fra tutti i cittadini e la non discriminazione.

Per carriera alias si intende un accordo di riservatezza tra Scuola o Università, studente trans e famiglia -se si tratta di studente ancora minorenne- in base al quale è possibile un riconoscimento formale dell’identità di genere che si sente propria, utilizzando nei documenti interni alla Scuola (registro, libretto delle assenze, tabelloni degli esiti, documenti relativi a esami, prove, registrazione delle presenze, card per la biblioteca o la mensa…) il nome di elezione scelto invece di quello anagrafico.

Prima in Italia, già nel 2003 l’Università degli Studi di Torino aveva previsto per le studentesse e gli studenti in transizione di genere un libretto universitario sostitutivo con il nome di elezione scelto dall’interessata/o, valido agli esclusivi fini del percorso di studi, in considerazione del fatto che il procedimento burocratico di rettificazione del sesso era spesso più lungo della carriera universitaria. Con l’avvento dei nuovi sistemi di autenticazione attraverso il rilascio di credenziali legate ai dati personali delle studentesse e degli studenti è stato necessario emanare nel 2015 un nuovo Regolamento per l’attivazione e la gestione della carriera alias per soggetti in transizione di genere (D.R. n. 2330 del 29.06.2015), “volto a garantire agli studenti e alle studentesse in transizione di genere di poter vivere in un ambiente di studio sereno, in cui i rapporti interpersonali siano improntati alla correttezza, al reciproco rispetto delle libertà e dell’inviolabilità della persona.” Ciò significa che, documentando la presa in carico del/della richiedente da parte di una struttura sanitaria per l’attivazione di un percorso medico e psicoterapeutico mirato ad una eventuale riassegnazione del sesso (L. 164/1982), è possibile richiedere all’Ateneo di ottenere l’assegnazione di “un’identità provvisoria, transitoria e non consolidabile” in attesa della conclusione del procedimento di riassegnazione di genere e la conseguente sentenza del Tribunale.

Nell’estate 2021 anche l’Università del Piemonte Orientale ha definito un suo regolamento interno con lo scopo di «consolidare l’appartenenza alla comunità universitaria e garantire il benessere di chi ne fa parte», in virtù del quale l’ateneo “si impegna a considerare la persona con il genere che ha scelto anche se la transizione non è conclusa formalmente per lo Stato, l’interessato riconosce che la «carriera alias» non ha valore legale al di fuori dell’università ed è quindi provvisoria”.

Dal momento che non è necessario essere maggiorenni per iniziare tale percorso (in Piemonte il Centro di riferimento regionale per la disforia di genere in età evolutiva si trova all’Ospedale Regina Margherita di Torino), sarebbe opportuno che anche le Scuole Secondarie di Primo e Secondo Grado iniziassero a riflettere, in un’ottica di vera prevenzione di bullismo, disagio psicologico e abbandono scolastico, sull’importanza del tema e ad attivarsi di conseguenza, come timidamente si è iniziato a fare in giro per l’Italia.

Ad oggi, purtroppo questa procedura viene lasciata a singole iniziative, che si basano sulle norme relative all’autonomia scolastica, ma l’auspicio è che si giunga alla stesura di Linee Guida da parte del Ministero dell’Istruzione e di quello dell’Università che uniformino i protocolli e siano riferimenti univoci per stilare i regolamenti.

Tale lacuna, però, non deve costituire un alibi per rimandare a tempo indeterminato una questione che nella realtà quotidiana è indifferibile.


martedì 25 maggio 2021

COME UN FOGLIO DI CARTA STROPICCIATO

 



COME UN FOGLIO DI CARTA STROPICCIATO 

dott.ssa Elisa Lupano - Pedagogista, Counsellor, già giudice onorario Tribunale dei Minori di Torino

Storia di un laboratorio sul bullismo e il cyberbullismo 

in condizioni “straordinarie”

Quest’anno scolastico, l’associazione Mani Colorate e il suo progetto Informi@moci, abbiamo incontrato moltissimi bambini e ragazzi. Siamo entrati in tutti gli ordini di scuola, dalla Primaria alla scuola secondaria di II grado. Li abbiamo incontrati in DAD, tutti a casa e collegati ognuno con un dispositivo, o in remoto, attraverso la LIM, quando i ragazzi erano già ritornati a scuola, ma i dirigenti non permettevano la presenza di personale esterno nella scuola. Poi siamo anche riusciti ad essere in presenza, soprattutto in alcune scuole primarie, dove il parlarsi faccia a faccia, anche se con la mascherina, ci ha dato di nuovo l’entusiasmo di sentirci più vicini. Abbiamo proposto video, storie, piccole attività che potessero far sentire tutti ascoltati, e belli e importanti nelle rispettive diversità, perché tutti sentissero che, se volevano, potevano parlare di sé senza timore di essere giudicati, anzi, ogni racconto sarebbe stato prezioso per tutti. Abbiamo dovuto rinunciare a qualche piccolo gioco per “scaldare” l’ambiente, al sedersi in cerchio, dove tutti sono in prima fila e nessuno è escluso dai racconti che si vogliono portare. Tutti gli insegnanti ci hanno aiutato, per rendere gli incontri con i ragazzi quasi normali anche dove “normali” non potevano essere.

In alcune classi siamo stati chiamati espressamente dagli insegnanti perché qualcosa non funzionava. In queste classi siamo riusciti lavorare in presenza. In altre siamo stati chiamati perché “di queste cose è sempre utile parlarne”. E i bambini e i ragazzi, più a loro agio di noi, più capaci di tutti ad adattarsi anche in condizioni estreme, ci hanno fatto spesso commuovere e riflettere, raccontandoci le loro storie. Eccone alcune

Dario

Dario (nome di fantasia) è entrato nella classe dopo essersi trasferito con la famiglia, non conoscendo nessuno. Il gruppo classe è ben amalgamato perché, trattandosi di una scuola di un paese della provincia di Asti, tutti si conoscono da tempo, e tra i compagni c’è chi ha fatto tutte le scuole insieme, fin dalla scuola dell’infanzia. Entrare nel gruppo non è facile, e Dario cerca di entrarci con gli strumenti che ha e che conosce. Si “attacca” ad una ragazzina della classe, e le sta addosso, perché gli piace. Va avanti un po’ di giorni e poi il gioco incomincia a dar fastidio alla ragazzina, che non lo vuole più. Lui insiste, ma al suo rifiuto, incomincia a tartassarla al cellulare, insultandola, e scrivendole frasi pesanti, che la ragazzina fa leggere alla mamma che a sua volta segnala il fatto ai professori. Dario viene messo alle strette, sulle prime dice che non le ha scritte lui quelle frasi, e accusa un compagno. Poi cede e ammette.  Quando arriviamo noi la classe ha fatto muro contro di lui. Non gli perdonano di aver accusato un compagno al posto suo, mentre lui, nel suo desiderio non accolto di essere accettato dal gruppo, si è ancora più indurito e arroccato nelle sue posizioni, poco convinto della gravità di ciò che ha fatto. Con la classe si parla a lungo, e si cerca di mettere in luce i sentimenti di ognuno rispetto ai fatti. Il compagno accusato, che è ancora più deluso per il fatto che si conoscevano già, ed erano amici, una volta. La ragazzina, che lo ha già perdonato, perché ha capito, ma comunque Dario non le sta simpatico lo stesso. I compagni, che si sentono attaccati come gruppo. E infine Dario, e il suo bisogno di essere accolto, anche se non lo dice mai, e che fa sempre più il duro. Li aiutiamo a parlare, guardandosi negli occhi e dicendosi che cosa provano, e ad ascoltarsi, chiedendo loro di provare a capire i sentimenti di tutti.  Anche se sappiamo che il nostro intervento non può essere risolutivo, è stata un’occasione per parlarsi e i ragazzi non l’hanno sprecata. 

I professori in DAD





Tanto tempo davanti al PC. I prof che parlano. Dopo un po’ arriva la noia. Per fortuna si può tenere il video spento, con la scusa che la connessione è lenta. Intanto che si ascolta, si può fare anche altro. Come ad esempio fare la foto ai prof e metterla sulla chat di classe. Così, per ridere, e poi, visto che ridono tutti, non ci va tanto a scriverci sotto una frase ridicola, per ridere ancora di più. Qualche mamma (che non rinuncia a vigilare su ciò che scrivono o leggono i loro figli in chat) se ne accorge e lo comunica a scuola. I ragazzi vengono sgridati e puniti, hanno 12 anni, non avevano gli strumenti per capire che quello che hanno fatto era un reato. I loro docenti ci lasciano da soli in classe, dicendoci “così si sentono liberi di parlare”, ma non ci spiegano cosa è successo. Il fatto viene fuori quasi per caso, quando chiedo se hanno una chat di classe e mi rispondono “non più”. Non più perché? E raccontano. Ma raccontano anche quanto stanno male, e quanto nella classe si sia “rotto qualcosa”. Stanno male perché hanno capito che è una cosa grave mettere una foto non autorizzata sui social, non lo sapevano, lo hanno fatto con l’idea di fare uno scherzo. Ma si è rotto qualcosa perché non tutti erano d’accordo, qualcuno sapeva che non si poteva fare, ma non hanno detto niente. Questi ragazzi sono quelli che si sentono più colpevoli. “io sapevo che non era una cosa da fare, ma non ho avuto il coraggio”, ha detto una di loro. Si, non ho avuto il coraggio: il coraggio di essere diversa, di non ridere anch’io, di dire che stavano sbagliando. A 12 anni essere nel gruppo è la cosa più importante. Uscirne fuori, dissentire dal pensiero comune richiede uno sforzo enorme. Ma poi si sta male perché ci si sente responsabili.  Purtroppo non aiuterà questa ragazzina sapere che molti adulti non ce l’hanno questo coraggio, in diverse occasioni.

Vittime di bullismo

Tantissimi sono state le storie in cui ci si è sentiti “bullizzati”. Si usa questo termine in modo generico, ad indicare tutte le volte che ci si è sentiti presi in giro, esclusi, insultati, anche se non si tratta di vero e proprio bullismo, ma le definizioni non sono importanti. La sofferenza invece è sempre la stessa. Molti bambini già nella scuola primaria raccontano di aver subito prepotenze già quando erano più piccoli, e alcuni di loro rivivono quel dolore nel raccontarlo, anche se sono passati degli anni. “Ci vuole poco tempo per prenderci in giro, ma tanto tempo per venirne fuori”, dice un bambino di 10 anni. Ma da queste sofferenze bisogna venirne fuori: in che modo? Parlandone con i veri amici, quelli che ci sono più vicini, a volte con chi ha vissuto le stesse esperienze, perché è più in grado di capire. La paura a parlare è tanta anche perché si ha paura di essere presi in giro da chi abbiamo scelto come amico per parlarne. Poi certo, anche con gli adulti, anche se qualche volta “hanno tanto da fare e molte altre preoccupazioni”. A scuola è importante parlarne con gli insegnanti, che possono intervenire, ma prendere provvedimento spesso non risolve la situazione. È importante reagire, parlarci con il bullo, farsi coraggio: “noi siamo bambini e dobbiamo crescere bene, e anche tu (il bullo) devi crescere bene”. Capire che abbiamo altre potenzialità, come dice qualcuno: “venivo preso in giro perché sono scarso a giocare a pallone, ma io sono più bravo di loro a scuola”, e vincere la timidezza e farsi più amici. L’esperienza del bullismo ci cambia, qualche volte ci rende più forti, e altre più deboli.  

La maggior parte racconta storie di prepotenze agite con le parole, perché le parole “fanno tanto male e lasciano cicatrici nella mente e nel cuore”. Il cuore diventa come un foglio di “carta stropicciato, che anche se lo allarghiamo di nuovo, le pieghe si distendono ma non spariscono”.

Ma sarà comunque un foglio dove potremo scrivere e colorare un nuovo, meraviglioso racconto.


lunedì 19 aprile 2021

FRONTEGGIARE LO STRESS

 

FRONTEGGIARE LO STRESS

(liberamente tratto dalla rivista MInd, aprile 2021)

Dott.sa Elisa Lupano – Pedagogista, counsellor

Il recente periodo di pandemia ha segnato in modo profondo tutti: adulti, bambini, anziani. Da tutti i punti di vista: economico, sociale, psicologico. Abbiamo dovuto tirarci su le maniche e vivere in una situazione mai vissuta. Alcuni dicono: “è stato come andare in guerra”.

Abbiamo imparato a continuare il nostro lavoro a distanza, a gestire una famiglia tutto il giorno, tutti i giorni in uno spazio spesso abitato da tutti solo la sera, abbiamo dato il bianco in casa, camminato sotto casa, trovato i tutorial per fare ginnastica. Siamo partiti con entusiasmo, dicendo andrà tutto bene, poi il tempo si è dilatato, ci siamo ritrovati chiusi quando pensavamo che stesse per finire. E nessuno ha più detto andrà tutto bene.

Non ci siamo quasi resi conto che in questo periodo si è stati sottoposti ad una dose di stress mai avuta, e mai in modo così prolungato. E non abbiamo avuto il tempo di pensarci, abbiamo “navigato a vista” e siamo andati avanti.

Ma come abbiamo fatto? Ripensarci potrebbe aiutarci a capire meglio come siamo fatti, e come funzioniamo, e diventarne consapevoli ci può aiutare a potenziare le nostre capacità di fronteggiare lo stress. “Le risorse emotive e cognitive che mettiamo in atto per superare le difficoltà, scrive Eleonore Zarik sulla rivista Mind, sono una sorta di kit per le emergenze che è utile conoscere per vivere bene”.

Queste risorse vengono chiamate strategie di coping, e costituiscono la modalità che ognuno di noi ha per affrontare le difficoltà della vita.

Secondo la ricercatrice, le strategie di coping sono di tre tipi.

Una prima strategia è stata quella di concentrare le energie sul problema, cercando di concentrare tutte le energie per rafforzarne il controllo: durante questo periodo di pandemia, hanno attivato questa strategia coloro che si sono mossi fortemente per contenere il contagio per sé e per propri familiari, per poter continuare in sicurezza il proprio lavoro, ingegnandosi nelle strategie più efficaci per farne fronte. La complessità del problema e l’eccezionalità degli eventi non ha comunque permesso, nonostante molti sforzi, di avere il pieno controllo della situazione.

Una seconda strategia è stata quella centrata sulle emozioni: il contesto fortemente ansiogeno in cui si è vissuto, le immagini traumatiche trasmesse dai media, le statistiche giornaliere sui morti per coronavirus, sarebbero state insostenibili per molte persone se non fossero riuscite a compensare le emozioni negative con altre emozioni più positive atte a ristabilire il benessere emotivo. La visione di un film rilassante, dedicarsi ad una passione da tempo trascurata, cucinare, valorizzare il fatto di essere in buona salute, hanno permesso di ristabilire una sorta di equilibrio per la gestione dell’ansia e per non lasciarsi abbattere dai pensieri negativi.     

La terza invece è stata quella centrata sul sostegno sociale. In questo caso sentire, anche a distanza, una voce amica, che ascoltava senza dare giudizi né soluzioni, ma semplicemente lasciando raccontare le proprie emozioni ha aiutato molte persone a rafforzare le proprie capacità di far fronte al problema, sviluppando sentimenti positivi di auto efficacia. Importante, per chi ha scelto questo tipo di strategia, è stato il riconoscere di aver bisogno di aiuto, accettando le proprie fragilità, senza sentirsi per questo meno adeguato ad affrontare la vita.  

Non è detto che ognuno di noi abbia attivato una sola di queste strategie, ma piuttosto abbia utilizzato più di una modalità o in tempi successivi, o anche contemporaneamente), ma certamente ognuno ha avuto una modalità prevalente, che era quella che rispondeva meglio ai propri bisogni e alle proprie caratteristiche. Riconoscere quale strategia abbiamo scelto, e conoscere anche altre possibilità per fare fronte ai problemi, ci aiuta non solo nella conoscenza di noi stessi, ma anche nello scoprire nuove strade possibili, forse mai sperimentate, per il superamento dei momenti di stress.  

 

sabato 6 febbraio 2021

CONVENZIONE DI RETE TRA I.I.S. CASTIGLIANO E ASSOCIAZIONE MANI COLORATE ODV

 

                                5 febbraio 2021 - Presentazione della convenzione


Presentazione dei due soggetti partner

Lo Sportello Studenti del Castigliano nasce nell’anno scolastico 2002/ 03 come ricerca e sperimentazione di nuove metodologie per contrastare il disagio scolastico, per offrire agli allievi opportunità nuove finalizzate a sentire la scuola non come un ambiente ostile, ma come un luogo di aggregazione, dove sono protagonisti.

Dalla collaborazione tra un gruppo di studenti e alcuni docenti, inizia la vita dello Sportello, un punto di ascolto, dove si può parlare con dei compagni di problemi personali o dove si possono denunciare episodi di bullismo verificatisi all’interno o fuori della scuola, dove si programma insieme, dove si investe il proprio tempo libero in attività di volontariato.

Fondamentale risulta l’azione degli studenti peer educator e del personale esterno qualificato come educatrice, psicologa, animatrice, indispensabili le collaborazioni con l’esterno, con il territorio, gli enti pubblici, le associazioni e gli altri Istituti scolastici.

Nell’a.s. 2006/07 lo Sportello Studenti diventa elemento di spicco nel progetto ‘UNO PER TUTTI, TUTTI PER UNO’ per il quale il Castigliano, a capo di una rete di scuole, assume il ruolo di ‘Centro Provinciale di assistenza e sostegno alle fasce deboli’.

Nell’a.s. 2014/ 15,, l’azione   svolta dal Castigliano attraverso lo Sportello viene riconosciuta con il premio speciale del Presidente della Repubblica quale ‘miglior scuola italiana innovativa nel progettare autentici percorsi di educazione alla vita’.

Lo Sportello, grazie alla sua struttura, alle forti motivazioni che sono alla base, si trasforma e individua nuove metodologie di comunicazione, di intervento per rispondere alla esigenze dell’utenza, a eventi improvvisi, non prevedibili come la pandemia che ci ha colpiti in questi giorni. Oggi lo Sportello svolge le sue funzioni on line con entusiasmo e partecipazione da parte dei ragazzi impegnati in prima linea.

 

Lo sportello d’aiuto Mani Colorate offre supporto psicologico, pedagogico, legale. Informazioni sui servizi offerti dalla sanità ed enti pubblici, le associazioni di volontariato e il privato sociale esistenti sul territorio. Offerte formative ed educative ai giovani, genitori, insegnanti ed educatori sulle modalità comportamentali nei casi di bullismo, cyber bullismo, dispersione scolastica, nuove forme di dipendenza, difficoltà di relazione ed integrazione. Osservazione, analisi e raccolta dati della popolazione del territorio. I servizi messi a disposizione sono gratuiti. L’associazione partecipa inoltre ai lavori dell’Osservatorio provinciale sul bullismo e del Nodo provinciale antidiscriminazioni e, nello specifico ambito riguardante l’uso consapevole e sicuro di Internet, interfacciandosi con il Servizio Dipendente dell’Asl AT e la Polizia di Stato grazie alla collaborazione già avviata nei progetti scuola con la Polizia Postale.

Il progetto INFORMI@MOCI di Mani Colorate è una tappa importante del percorso educativo avviato negli anni scorsi con i progetti riferiti all’utilizzo critico e consapevole di internet: “La scuola ricomincia navigando” dell’anno scolastico 2008/ 2009,  “Non Perdere la Bussola” dell’anno scolastico 2009-2010,  Informi@moci dell'anno scolastico 2010/2011, Informi@moci 2” dell'anno scolastico 2011/2012, “Buono a Sapersi” dell’anno scolastico 2012/2013, Informi@moci dell’anno scolastico 2013/2014, “Informi@moci”  dell’anno scolastico 2015/2016, “Informi@moci”  dell’anno scolastico 2016/2017 e “Informi@moci” dell’anno scolastico 2017/2018  che hanno raggiunto circa 29.000 studenti e circa 4.500 tra genitori e docenti. Nel corso dell’anno scolastico 2019/2020 (periodo ottobre 2019 – febbraio 2020) sono stati coinvolti nel progetto circa 1.000 alunni e 100 tra genitori e docenti.

 

 

 

Sintesi della convenzione

La convenzione ha le seguenti finalità:

Ascolto e sostegno a studenti con difficoltà di inclusione in ambito scolastico/sociale sovente vittime di azioni di bullismo/cyber bullismo; Ascolto e sostegno alle famiglie nell’affrontare il complesso ruolo genitoriale; Sostegno alle scuole e alle agenzie formative nell’affrontare le problematiche relative all’inclusione, al contrasto a ogni forma di marginalità; Rafforzamento del concetto di cittadinanza negli allievi delle scuole di ogni ordine e grado; Formazione di docenti, genitori; Educazione alla legalità: creare i presupposti di una società dove le barriere etniche, di genere, di appartenenza social vengono superate dalla condivisione di valori e regole fondamentali per la vita comunitaria, nel rispetto della persona; Realizzazione/potenziamento di reti impegnate nell’ambito della formazione, del recupero, dell’inclusione.

 

Saranno pertanto poste in essere le seguenti azioni:

Creazione di una rete coinvolgente partner quali scuole del territorio, agenzie formative, enti territoriali; Attivazione di uno Sportello ascolto/sostegno/formazione presso la sede dell’ Associazione Mani Colorate gestito da personale qualificato: mediatrice, psicologa, avvocato, educatrice, volontari. Funzioni: a) ascolto, supporto psicologico e legale e orientamento ai servizi territoriali; b) sostegno e focus con educatori, docenti delle scuole di ogni ordine e grado; I volontari accoglieranno gli utenti e fisseranno gli incontri con gli esperti; Creazione di uno Sportello On line (considerata la possibilità di dover svolgere le attività a distanza) gestito da personale qualificato: mediatrice, psicologa, avvocato, educatrice, volontari; Formazione di un gruppo di ricerca azione finalizzato: all’individuazione e allo studio delle problematiche; alla sperimentazione di nuove strategie; alla raccolta e alla pubblicazione di buone pratiche; Corsi di formazione per educatori, docenti e genitori sul  tema del bullismo/ cyberbullismo (aspetti legali e metodologie d’intervento); Pubblicazione di materiale informativo; Incontri di monitoraggio in itinere e al termine del percorso; Rapporti con gli Enti territoriali e le associazioni.

 La sede della Rete è individuata presso Associazione Mani Colorate: Via Aliberti 5 – 14100 Asti

La sede di realizzazione delle specifiche azioni del Progetto è individuate presso:

Associazione Mani Colorate: Via Aliberti 5 – 14100 Asti

Qualora la normativa in contrasto alla diffusione del contagio Covid 19 lo preveda, l’attività si svolgerà on-line.

 

Monitoraggio dell’efficacia della rete

Partecipazione delle scuole e delle famiglie alle proposte educative e di formazione; Superamento dei conflitti, diminuzione di atti di bullismo nelle scuole e più in generale in ambito cittadino; Recupero non soltanto di chi è stato vittima di bullismo, di emarginazione, ma di chi ha esercitato violenza; Consolidamento dei rapporti tra associazioni e enti per il raggiungimento di obiettivi comuni; La valutazione dei risultati conseguiti è demandata al Gruppo di coordinamento

 


sabato 9 gennaio 2021

LE SFIDE DEL RITORNO ALLA NORMALITA’

 Con lo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre ci siamo tutti augurati un buon anno 2021, ma soprattutto un anno che fosse semplicemente normale.

Si perché quello passato non è stato normale, lo sappiamo, è stato terribile.

Per gli adulti, ma soprattutto per i ragazzi, privati della scuola, del loro ambiente naturale di socializzazione. Ormai, per molti di loro siamo a 10 mesi (con una breve interruzione in presenza) di lontananza dai compagni di classe, dai loro insegnanti dai luoghi conosciuti e dai ritmi consolidati.

Come si vivrà il ritorno alla normalità? Parlando con gli adolescenti di seconda e terza media su come stanno adesso, dopo il secondo lockdown, in attesa di una apertura della scuola in presenza, ancora tutta da definire, le risposte sono state diverse.  

Per qualcuno la scuola a distanza è stata una buona cosa: sono ragazzi della provincia di Asti, che abitano in paesini all’interno della zona collinare, che non hanno la scuola nel paese dove abitano e la raggiungono con lo scuolabus, partendo anche un’ora prima da casa, per raggiungere tutti i paesi e raccogliere e trasportare tutti i compagni. Ma si tratta anche di ragazzi abbastanza autonomi, con una buona connessione in casa, i più fortunati hanno avuto anche l’opportunità di ricevere dai genitori un nuovo computer più potente, proprio per poter seguire meglio le lezioni. Vivono in mezzo alla campagna, ma con tutte le dotazioni di chi vive in città, e in più un ambiente gradevole dove passare il pomeriggio, andare in bici con gli amici e ricaricarsi.

Ma per altri questa situazione comincia a pesare. O è stata pesante fin dall’inizio. Non entro nel merito di come è stata condotta la DaD, che ha richiesto un rapido adattamento dei docenti sia dal punto di vista didattico (non si possono fare proprio le stesse cose in presenza e a distanza) sia tecnologico, ben supportati dalla figura dell’Animatore digitale, da pochi anni istituita nelle scuole. Da qualche impressione captata qua e là tutti si sono attivati, dando quello che si era in grado di fare, senza limiti di orario, andando a recuperare quelli che si stavano perdendo. Di questo sarà interessante dare voce ai docenti e alle loro esperienze.

La pesantezza accusata dai ragazzi è stata causata da diversi fattori. Il primo è la presenza davanti ad uno schermo per tanto tempo (l’abbiamo sentita anche noi adulti, dopo tante riunioni online). Si sono adattati, anche in fretta, ma adesso dicono che fanno fatica a concentrarsi, che si stancano dopo poco, che hanno mal di testa. Il secondo è stato la lontananza dai compagni, non sempre sostituita da incontri con i compagni al pomeriggio. È mancato il trovarsi al mattino ancora un po’ addormentati, salutarsi, incominciare a parlare tra di loro, gli scherzi, le battute, la musica sentita in due dal cellulare. Il terzo, e più grave, è stato l’isolamento: dovuto all’abitare in zone con scarsa copertura, o al fatto di non avere strumenti adeguati. Già è difficile seguire una lezione on line su un PC, figuriamoci sul cellulare.

Come si potrà ricucire tutto quello che è mancato? Si, la parola ricucire è usata volutamente, perché si tratta di uno strappo. Uno strappo nella crescita a 12 – 13 anni che sarà difficile recuperare.  Se dal punto di vista delle nozioni la scuola è andata avanti, i programmi se pur con fatica sono stati fatti, tutto il resto è rimasto bloccato, e la naturale palestra di crescita che sono le relazioni tra coetanei è stata vissuta senza respirarne l’aria, senza sudare insieme. Il vuoto relazionale si potrà colmare solo con un grande lavoro di attenzione e ascolto, dando voce a quello che non è stato possibile esprimere in tutto questo tempo, nei luoghi fatti apposta per crescere a formarsi, come la scuola, il doposcuola, il campo di calcio. Luoghi che si dovranno attrezzare per diventare “contenitori”. Perché solo raccontando le emozioni e dando loro un nome è possibile imparare a gestirle.   

                                  Dott.ssa Elisa Lupano - pedagogista, counselor