domenica 17 maggio 2020

NON VA TUTTO BENE....


NON VA TUTTO BENE…


Nel corso della mia esperienza professionale, oramai più che ventennale, le persone che nel tempo si sono rivolte a me hanno spesso riferito che uno dei principali ostacoli che li hanno spinti a procrastinare la loro richiesta d’aiuto è stata la difficoltà a legittimare a se stessi e agli altri una sofferenza di tipo psicologico.
 Siamo nel 2020 e, almeno in Italia, ci si vergogna ancora ad andare dallo psicologo. Ci diciamo: “Passerà!”, “Son tutte storie!”, “Pensa ad altro!”, ma intanto quel dolore inascoltato cresce: il più delle volte in questi casi il tempo non è guaritore, ma peggiora la situazione. Con la scusa del “siamo tutti un po’ psicologi”, ci si affida superficialmente a persone prive dell’adeguata formazione e preparazione, senza verificare che siano veramente  iscritte all’Ordine degli Psicologi (https://www.ordinepsicologi.piemonte.it/ordine/albo), con il rischio di creare ulteriori danni al nostro equilibrio psicologico.
In questo peculiare momento storico della vita dell’umanità, le motivazioni per sviluppare queste tipologie di disagio si moltiplicano. La salute è una questione fisica, psicologica e sociale: se c’è qualche problema anche solo in una di queste aree, non ci possiamo ritenere “in salute”.  Gli esperti mondiali di salute mentale  nelle scorse settimane hanno lanciato il loro grido d’allarme relativo ad una prevedibile ondata di sintomi ansiosi e depressivi, a cui vanno aggiunte problematiche relazionali familiari o di coppia. Il lockdown ha aumentato il tempo a disposizione per stare con se stessi e i propri pensieri e non sempre questi vanno nella corretta direzione.
Purtroppo anche a livello istituzionale non si prende in dovuta considerazione la pressante esigenza di un supporto psicologico da parte di tante persone, non necessariamente toccate da vicino dal COVID-19. Lo esprime a chiare lettere il CNOP - Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (https://www.psy.it/), in seguito alle varie sollecitazioni ai ministeri competenti, che purtroppo non hanno prodotto esiti significativi: “Lo scenario è complesso per vari motivi: con risorse comunque inadeguate ai tanti bisogni, è facile che prevalgano quelli più evidenti o quelli sostenuti da forti interessi. La nostra professione si occupa di temi in cui la non risposta o la risposta non psicologica non produce conseguenze immediate e visibili se non in alcuni casi. E certamente non abbiamo lobby economiche che ci sostengono. È importante riflettere che dobbiamo combattere una opinione diffusa (molto tra i politici) che i problemi psicologici sono causati soprattutto da difficoltà di tipo pratico (economia, lavoro, problemi sociali, ecc.) e che è su questi che occorre intervenire. E che se il Governo trascura la salute psicologica la gente non scende in piazza.”
Per cercare di invertire tale tendenza, ho aderito al progetto nazionale BAROMETRO SALUTE MENTALE E BENESSERE PSICOLOGICO (https://salutementaleitalia.it/) partito il mese scorso per monitorare lo stato psicologico della popolazione durante e dopo l’emergenza dovuta all’epidemia, con il duplice scopo di fornire indicazioni ai professionisti per interventi sempre più mirati ed efficaci e, soprattutto, per poter mettere a disposizione dei decisori pubblici dati certi sui bisogni delle persone che si auspica possano essere di indirizzo per la fase di ripresa dopo la crisi.
Non sarebbe stato un bel segnale di sensibilità se, accanto ai voucher per monopattini e vacanze, si fosse pensato anche ad un voucher per andare dallo psicologo?
         dott.ssa Paola Scalco, docente, psicologa e psicoterapeuta



mercoledì 6 maggio 2020

IPERCONNESSI O DIPENDENTI?


Iperconnessi o dipendenti?


“Sempre più persone, quando si trovano a fronteggiare momenti di solitudine
nella propria auto, per strada o alla cassa del supermercato,
invece di raccogliere i pensieri
controllano se ci sono messaggi sul cellulare
per avere qualche brandello di evidenza
che dimostri loro che qualcuno, da qualche parte,
                                                  forse li vuole o ha bisogno di loro»  
                                                                                                                                 Z. BAUMANN


Negli incontri che ho effettuato con le classi in questi ultimi anni, sia con il progetto Informi@moci dell’Associazione Mani Colorate, sia con il progetto regionale  #tuttinsieme contro bullismo e cyberbullismo (coordinato nella nostra provincia dall’IIS “V. Alfieri”), uno degli argomenti che ha destato maggiore interesse tra i ragazzi è stato quello delle cosiddette new addictions, o nuove dipendenze. In questo la lingua inglese è più precisa della nostra, in quanto differenzia la dependence (dipendenza  chimica da una sostanza) dall’addiction (dipendenza psicologica, che ci spinge a ricercare un comportamento, o anche una persona, per trovare al di fuori di sé un senso alla propria esistenza). L’origine è comunque “nostra”! Addictio era la condizione di schiavitù nei confronti del suo creditore, in cui si trovava un debitore impossibilitato a restituire la somma dovuta. Schiavo, dunque. Termine emblematico, in un periodo storico in cui tanto si dibatte di libertà personali…

Nel corso dei miei interventi nelle scuole è stato piuttosto sconcertante trovare, in particolare nella fascia d’età tra gli 8 e gli 11 anni, bambini che già mostrano segni evidenti di dipendenza. E, dal mio punto di vista, non è rassicurante ma allarmante constatare che stiano iniziando a nascere ambulatori specializzati in dipendenza da Internet e psicopatologia del web dedicati all’età pediatrica. Credo che ciò rappresenti una sconfitta e che significhi che è necessario impegnarsi ancora di più nella in-formazione delle famiglie in un’ottica di prevenzione, dal momento che sovente sono proprio i genitori a sottovalutare cattive abitudini che i loro figli stanno assumendo, se non addirittura ad incoraggiarle loro stessi (quante volte ci capita di vedere un bambino al di sotto di un anno d’età, sul passeggino con lo smartphone tra le mani?). Rammarica, però, constatare che quando ci si attiva per organizzare incontri con queste finalità, troppo spesso i genitori stentano a partecipare. Forse perché scarseggia la consapevolezza degli innumerevoli rischi a cui si può andare incontro, salvo poi non saper “dove sbattere la testa” quando è troppo tardi per rimediare. Uno di questi rischi è proprio la dipendenza.
In questi ultimi mesi il confinamento forzoso tra le mura domestiche ci ha resi, volenti o nolenti, un po’ tutti iperconnessi. Ma il problema non sta prettamente nella quantità di tempo dedicata a web, social o videogames. 
Qual è, dunque, il confine con la patologia?
Non si diventa dipendenti dall’oggi al domani, perché quello della dipendenza è un processo che segue varie fasi: un comportamento usuale inizia a non bastarci più per ottenere la medesima gratificazione, pertanto eccediamo nel metterlo in atto, fino ad abusarne e poi a non poterne fare a meno, per cui la gratificazione viene sostituita dalla compulsione, a scapito di altre aree della nostra vita (relazioni, professione, studio, svago…).
Le conseguenze emotive, infatti, comprendono irritabilità, ansia, depressione, rabbia e possono seriamente compromettere la qualità della vita e il benessere psicologico dell’individuo, poiché iperconnessi vuol spesso dire disconnessi da se stessi e dalla realtà “reale”.
dott.ssa Paola Scalco, docente, psicologa e psicoterapeuta

PER APPROFONDIMENTI: