Iperconnessi
o dipendenti?
“Sempre più persone, quando si trovano a fronteggiare momenti di solitudine
nella propria auto, per strada o alla cassa del supermercato,
invece di raccogliere i pensieri
controllano se ci sono messaggi sul cellulare
per avere qualche brandello di evidenza
che dimostri loro che qualcuno, da qualche parte,
forse
li vuole o ha bisogno di loro»
Z. BAUMANN
Negli incontri che ho
effettuato con le classi in questi ultimi anni, sia con il progetto
Informi@moci dell’Associazione Mani Colorate, sia con il progetto
regionale #tuttinsieme contro bullismo e
cyberbullismo (coordinato nella nostra provincia dall’IIS “V. Alfieri”),
uno degli argomenti che ha destato maggiore interesse tra i ragazzi è stato
quello delle cosiddette new addictions, o nuove dipendenze. In questo la
lingua inglese è più precisa della nostra, in quanto differenzia la dependence
(dipendenza chimica da una sostanza) dall’addiction
(dipendenza psicologica, che ci spinge a ricercare un comportamento, o anche
una persona, per trovare al di fuori di sé un senso alla propria esistenza).
L’origine è comunque “nostra”! Addictio era la condizione di schiavitù
nei confronti del suo creditore, in cui si trovava un debitore impossibilitato
a restituire la somma dovuta. Schiavo, dunque. Termine emblematico, in un
periodo storico in cui tanto si dibatte di libertà personali…
Nel corso dei miei interventi
nelle scuole è stato piuttosto sconcertante trovare, in particolare nella
fascia d’età tra gli 8 e gli 11 anni, bambini che già mostrano segni evidenti
di dipendenza. E, dal mio punto di vista, non è rassicurante ma allarmante
constatare che stiano iniziando a nascere ambulatori specializzati in
dipendenza da Internet e psicopatologia del web dedicati all’età pediatrica. Credo
che ciò rappresenti una sconfitta e che significhi che è necessario impegnarsi ancora
di più nella in-formazione delle famiglie in un’ottica di prevenzione,
dal momento che sovente sono proprio i genitori a sottovalutare cattive
abitudini che i loro figli stanno assumendo, se non addirittura ad incoraggiarle
loro stessi (quante volte ci capita di vedere un bambino al di sotto di un anno
d’età, sul passeggino con lo smartphone tra le mani?). Rammarica, però,
constatare che quando ci si attiva per organizzare incontri con queste
finalità, troppo spesso i genitori stentano a partecipare. Forse perché
scarseggia la consapevolezza degli innumerevoli rischi a cui si può
andare incontro, salvo poi non saper “dove sbattere la testa” quando è troppo
tardi per rimediare. Uno di questi rischi è proprio la dipendenza.
In
questi ultimi mesi il confinamento forzoso tra le mura domestiche ci ha resi,
volenti o nolenti, un po’ tutti iperconnessi. Ma il problema non sta
prettamente nella quantità di tempo dedicata a web, social o videogames.
Qual
è, dunque, il confine con la patologia?
Non
si diventa dipendenti dall’oggi al domani, perché quello della dipendenza è
un processo che segue varie fasi: un comportamento usuale inizia a non
bastarci più per ottenere la medesima gratificazione, pertanto eccediamo
nel metterlo in atto, fino ad abusarne e poi a non poterne fare a meno, per cui
la gratificazione viene sostituita dalla compulsione, a scapito di altre
aree della nostra vita (relazioni, professione, studio, svago…).
Le
conseguenze emotive, infatti, comprendono irritabilità, ansia, depressione,
rabbia e possono seriamente compromettere la qualità della vita e il benessere
psicologico dell’individuo, poiché iperconnessi vuol spesso dire disconnessi
da se stessi e dalla realtà “reale”.
dott.ssa Paola Scalco, docente, psicologa e psicoterapeuta
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