mercoledì 6 maggio 2020

IPERCONNESSI O DIPENDENTI?


Iperconnessi o dipendenti?


“Sempre più persone, quando si trovano a fronteggiare momenti di solitudine
nella propria auto, per strada o alla cassa del supermercato,
invece di raccogliere i pensieri
controllano se ci sono messaggi sul cellulare
per avere qualche brandello di evidenza
che dimostri loro che qualcuno, da qualche parte,
                                                  forse li vuole o ha bisogno di loro»  
                                                                                                                                 Z. BAUMANN


Negli incontri che ho effettuato con le classi in questi ultimi anni, sia con il progetto Informi@moci dell’Associazione Mani Colorate, sia con il progetto regionale  #tuttinsieme contro bullismo e cyberbullismo (coordinato nella nostra provincia dall’IIS “V. Alfieri”), uno degli argomenti che ha destato maggiore interesse tra i ragazzi è stato quello delle cosiddette new addictions, o nuove dipendenze. In questo la lingua inglese è più precisa della nostra, in quanto differenzia la dependence (dipendenza  chimica da una sostanza) dall’addiction (dipendenza psicologica, che ci spinge a ricercare un comportamento, o anche una persona, per trovare al di fuori di sé un senso alla propria esistenza). L’origine è comunque “nostra”! Addictio era la condizione di schiavitù nei confronti del suo creditore, in cui si trovava un debitore impossibilitato a restituire la somma dovuta. Schiavo, dunque. Termine emblematico, in un periodo storico in cui tanto si dibatte di libertà personali…

Nel corso dei miei interventi nelle scuole è stato piuttosto sconcertante trovare, in particolare nella fascia d’età tra gli 8 e gli 11 anni, bambini che già mostrano segni evidenti di dipendenza. E, dal mio punto di vista, non è rassicurante ma allarmante constatare che stiano iniziando a nascere ambulatori specializzati in dipendenza da Internet e psicopatologia del web dedicati all’età pediatrica. Credo che ciò rappresenti una sconfitta e che significhi che è necessario impegnarsi ancora di più nella in-formazione delle famiglie in un’ottica di prevenzione, dal momento che sovente sono proprio i genitori a sottovalutare cattive abitudini che i loro figli stanno assumendo, se non addirittura ad incoraggiarle loro stessi (quante volte ci capita di vedere un bambino al di sotto di un anno d’età, sul passeggino con lo smartphone tra le mani?). Rammarica, però, constatare che quando ci si attiva per organizzare incontri con queste finalità, troppo spesso i genitori stentano a partecipare. Forse perché scarseggia la consapevolezza degli innumerevoli rischi a cui si può andare incontro, salvo poi non saper “dove sbattere la testa” quando è troppo tardi per rimediare. Uno di questi rischi è proprio la dipendenza.
In questi ultimi mesi il confinamento forzoso tra le mura domestiche ci ha resi, volenti o nolenti, un po’ tutti iperconnessi. Ma il problema non sta prettamente nella quantità di tempo dedicata a web, social o videogames. 
Qual è, dunque, il confine con la patologia?
Non si diventa dipendenti dall’oggi al domani, perché quello della dipendenza è un processo che segue varie fasi: un comportamento usuale inizia a non bastarci più per ottenere la medesima gratificazione, pertanto eccediamo nel metterlo in atto, fino ad abusarne e poi a non poterne fare a meno, per cui la gratificazione viene sostituita dalla compulsione, a scapito di altre aree della nostra vita (relazioni, professione, studio, svago…).
Le conseguenze emotive, infatti, comprendono irritabilità, ansia, depressione, rabbia e possono seriamente compromettere la qualità della vita e il benessere psicologico dell’individuo, poiché iperconnessi vuol spesso dire disconnessi da se stessi e dalla realtà “reale”.
dott.ssa Paola Scalco, docente, psicologa e psicoterapeuta

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