sabato 6 giugno 2020

GLI ALTRI SIAMO NOI

GLI ALTRI SIAMO NOI

“Noi che stiamo in comodi deserti

di appartamenti e di tranquillità

lontani dagli altri,

ma tanto prima o poi gli altri siamo noi.”  

U.Tozzi - Raf

 

Le regole dell’evoluzione ci insegnano che sopravvive non tanto il più forte, ma chi meglio sa adattarsi ai cambiamenti. In questi ultimi mesi le vite di tutti noi sono state messe alla prova da questo punto di vista: anche se prima era inimmaginabile, ci siamo adattati a rimanere rintanati nelle nostre abitazioni e a mantenere una distanza di sicurezza dal prossimo, non solo sconosciuto, ma anche a noi molto caro.

All’inizio è stato difficile: l’aggettivo “surreale” era il più usato per descrivere la nuova quotidianità, che però pian piano ha acquisito concretezza ed è persino diventata migliore della precedente, dal momento che ci ha restituito ritmi meno frenetici e possibilità di sperimentarci in attività da sempre accantonate, o addirittura mai prese in considerazione.

Raggiunto un discreto equilibrio, però, ecco che ci viene richiesto un nuovo adattamento: uscire dalle nostre “tane” per scivolare pian piano in una realtà differente da quella che avevamo lasciato fuori dalla porta. E ciò, spesso, si rivela sorprendentemente più complicato del previsto.

Le definizioni si moltiplicano: sindrome della capanna, sindrome del prigioniero, claustrofilia, cabin fever… La prolungata disconnessione col mondo esterno reale (compensata in questi mesi con un’esponenziale connessione virtuale) fa sì che ora tante persone manifestino sintomi somatici e psichici quando in quell’agognato mondo debbono ritornare. Si va da un’apparentemente ingiustificata insonnia, all’irrequietezza, all’irritabilità, all’ansia, alla vera e propria angoscia all’idea di uscire e di incontrare gli altri. Il timore di poterci ammalare ci rende diffidenti verso chi ci circonda e mal sopportiamo chi non rispetta le raccomandazioni degli esperti. Alcuni addirittura rispolverano e adattano alla nuova situazione quel linguaggio d’odio (hate speech), così diffuso in epoca pre-COVID e per un po’ accantonato, per attaccare chi fa loro paura.

Pur non coincidendo con il disturbo da ansia sociale (chiamato anche fobia sociale), di cui talvolta le vittime di bullismo soffrono, con esso questa coorte di sintomi invalidanti condivide alcune manifestazioni: evitamento delle situazioni sociali, che creano un’ansia sproporzionata e non oggettivamente giustificata, menomazione del funzionamento sociale ed esasperato timore del giudizio altrui.

Infatti, imbarazzo e vergogna si impadroniscono di noi se ci capita di starnutire o tossire in pubblico, perché prendiamo consapevolezza che le parti si sono invertite e, improvvisamente, gli “altri” siamo diventati noi! Allora, visto che ci troviamo tutti sulla stessa barca, sarebbe meglio esercitare la nostra tolleranza e remare tutti nella medesima direzione, per recuperare la speranza di approdare ad un porto sicuro.

                                                                              dott.ssa  Paola Scalco


Nessun commento:

Posta un commento