sabato 5 agosto 2023

I fatti di bullismo avvenuti nella scuola media di Latina e riportati su La Stampa del 3 agosto 2023 ed il successivo svolgimento della questione mi riportano alla mente i fatti raccontati nel film WONDER. E’ la storia di un ragazzo con una grave malformazione al viso che viene bullizzato dai alcuni compagni di scuola (anche nel film si parla di scuola media). Auggie, il soprannome del ragazzo, viene isolato da tutti ed i bulli per rafforzare questa azione mettono in giro la voce che se si tocca il ragazzo si prende la peste. Qui è sorprendente l’analogia con i bulli di Latina che mettono in giro la voce che se ti avvicini alla ragazza bullizzata ti contagi. Come spesso accade in questi casi viene creata una chat di classe dalla quale viene esclusa la vittima (altra forma grave di bullismo). Chi aiuta Wonder ad uscire dall’isolamento è una compagna di classe, Summer, che, sfidando i bulli ed i pregiudizi dei compagni di classe, si avvicina a Auggie fino a diventarne amica. Esempio seguito dopo poco dalla maggioranza dei compagni prima silenziosa poi consapevole e solidale. E’ un fatto che Mani Colorate negli incontri nelle scuole porta sempre da esempio facendo riflettere i ragazzi sull’importanza di non aver paura a “rompere il ghiaccio” ad essere i primi a solidarizzare con i bullizzati perché come in Wonder alla fine molti compagni che  all’inizio sembrano restii a volersi schierare si mettono dalla parte della vittima isolando così i bulli. Una sorprendente analogia tra il caso di Latina e quanto raccontato nel film si riscontra anche nel comportamento della famiglia di uno dei bulli di Auggie  che minimizza l’accaduto e minaccia addirittura di togliere il figlio dall’istituto. I dirigenti dell’istituto scolastico di Latina a mio avviso hanno fatto bene a proporre ai ragazzi autori di questi gesti di bullismo un percorso di giustizia riparativa percorso che Mani Colorate, invitata da una scuola ha già portato avanti nel corso dell’anno scolastico appena trascorso.

 

 

Agosto con SOS DONNA a Tigliole, Rocchetta Tanaro e Ferrere

Prosegue la mostra itinerante di SOS donna per contrastare la violenza di genere Tigliole, Rocchetta Tanaro e Ferrere sono le tappe di agosto della mostra itinerante Non crederci! Se ti tratta male e poi ti dice: non lo farò più...proposta dal Progetto SOS donna per contrastare la violenza di genere e smascherare le bugie degli uomini maltrattanti. Anche questi tre appuntamenti (ingresso libero) sono organizzati in collaborazione con i Comuni, a conferma della sensibilità sul tema espressa dagli amministratori locali che, non di rado, si trovano ad affrontare situazioni delicate nei loro territori. Molti finora i visitatori, che testimoniano le loro impressioni scrivendo sulle lenzuola usate dell'ospedale Cardinal Massaia e concesse dall'Asl AT, partner di SOS donna con Consiglio regionale (Consulta delle Elette e Consulta Femminile) Cisa, Cogesa, Anci Piemonte, Soroptimist Club di Asti, Fondazione CRAT, Banca di Asti. Collabora il Centro antiviolenza L'Orecchio di Venere (Asti). Tigliole: 7-10 agosto. Inaugurazione lunedì 7 agosto, alle 21, al Centro Incontri. In apertura e chiusura letture di Mirella Torta con le testimonianze di due vittime uscite dalla violenza tratte dal libro SOS donna. Percorsi attivi contro la violenza di genere. Saluto istituzionale del sindaco Daniele Basso, presentazione del Progetto SOS donna e di Rete Dafne (Piero Baldovino, presidente di Mani Colorate) e illustrazione della mostra (Laura Nosenzo, ideatrice con Giorgia Sanlorenzo). Orari di apertura: 21-23. Il 10 agosto, notte di San Lorenzo, sarà anche l'ultimo giorno della festa patronale in coincidenza della quale viene proposta Non crederci! per intercettare il maggior numero di visitatori.  Rocchetta Tanaro: 12, 13 e 15 agosto. A Ferragosto Non crederci! è a Rocchetta Tanaro, proposta dal Comune nell'ambito dei festeggiamenti patronali. Inaugurazione sabato 12 alle 19, nel Salone di Santa Caterina, con il sindaco Massimo Fungo, Silvia Ferraris, presidente dell'Unione Collinare Via Fulvia, Piero Baldovino (Associazione Mani Colorate, cura il progetto SOS donna) e Laura Nosenzo (ideatrice della mostra con Giorgia Sanlorenzo). Al termine aperitivo. Orari di apertura: 19-21. Ferrere: 29-31 agosto. La Chiesa dei Battuti, sede delle attività culturali del paese, ospiterà Non crederci! da martedì 29 a giovedì 31 nel seguente orario: 9-12/15-18. Apertura ufficiale mercoledì 30, alle 21.30, alla presenza dei camminatori della passeggiata Tra boschi e stelle. Interverranno il sindaco Silvio Tealdi e Laura Nosenzo, ideatrice della mostra con Giorgia Sanlorenzo, presenti volontari dell' Associazione Mani Colorate. 

 

mercoledì 24 maggio 2023

"Non crederci! Se ti tratta male e poi ti dice: non lo farò più..."


"Non crederci!" di SOS donna lascia Asti e diventa mostra itinerante 

Prima tappa a Castagnole Lanze (26-28 maggio), poi sarà in altri venti comuni e andrà a Torino

 

Dopo diciassette giorni al Cardinal Massaia, "Non crederci! Se ti tratta male e poi ti dice: non lo farò più..." diventa itinerante: la mostra di SOS donna si appresta a essere ospitata in venti centri della provincia per poi entrare, in autunno, nelle scuole e spostarsi a Torino.

A migliaia l'hanno vista, nella piazza interna dell'ospedale, e in centinaia hanno firmato, sulle lenzuola dell'ospedale trasformate in un grande quaderno aperto, scritto osservazioni e rivolto frasi di solidarietà e incoraggiamento alle donne vittime di violenza.

La mostra, ideata da Laura Nosenzo e Giorgia Sanlorenzo, è nata con la collaborazione del Centro antiviolenza L'Orecchio di Venere.  

Il viaggio di "Non crederci!" comincerà da Castagnole Lanze (26-28 maggio, come evento culturale della Festa della Barbera ospitato nella Sala consiliare del Municipio) per poi proseguire, a giugno, a Fontanile, Villafranca, Moncalvo, Ferrere e a luglio a Castello di Annone, Castell'Alfero, Villanova.

Ad agosto la mostra, che smaschera le bugie degli uomini maltrattanti, sarà a Tigliole, Rocchetta Tanaro, Valfenera; a settembre a San Damiano, Refrancore, Baldichieri e a ottobre a Incisa Scapaccino, San Martino Alfieri, Canelli, Calamandrana, Nizza. In coincidenza con la Giornata internazionale contro la violenza alle donne (25 novembre) verrà accolta a Torino, nella Sala Esposizioni dell'Urp del Consiglio regionale, che con la Consulta delle Elette e la Consulta Femminile sostiene SOS donna insieme all'Asl AT, Cisa, Cogesa, Anci Piemonte, Soroptimist Club di Asti, Fondazione CRAT, Banca di Asti.

Dopo Torino, i dieci pannelli raggiungeranno Isola.

Inaugurata in un luogo simbolico come l'ospedale, dove vengono accolte e curate le donne maltrattate, "Non crederci!" chiuderà in dicembre ad Asti in un altro contesto altrettanto significativo: il Tribunale, dove si celebrano i processi contro gli uomini maltrattanti.  

Al lavoro per sensibilizzare la cittadinanza, i volontari dell'Associazione Mani Colorate, guidata da Piero Baldovino e che quest'anno cura le attività di SOS donna, allestiranno la mostra anche ad Astiss, dove il 19 settembre si terrà una giornata di formazione per docenti di ogni ordine e grado nell'ambito della Piattaforma Sofia. 


giovedì 18 novembre 2021

NOI ADULTI A CHE GIOCO GIOCHIAMO?

 

NOI ADULTI A CHE GIOCO GIOCHIAMO?

Dott.ssa Paola Scalco, psicologa, specialista in Psicoterapia Cognitiva e Sessuologia Clinica

 

 


“No! Io non gioco, perché poi se perdo, mi uccidono!”

Il gioco è il classico 1-2-3…stella!

Il luogo è il cortile di una scuola primaria italiana.

Il bambino che si rifiuta terrorizzato di giocare è un alunno della prima classe, che ha perciò all’incirca 6 anni.

In queste ultime settimane, scene come questa si ripetono un po’ in tutte le scuole primarie (e tante scuole dell’infanzia) italiane. Giochi apparentemente innocenti diventano il pretesto per agire comportamenti aggressivi e per nulla rispettosi, in un periodo storico come quello attuale in cui i nostri bambini hanno già tantissimo da recuperare in fatto di socialità e costruzione di legami positivi.

 

Cosa sta accadendo? Quale nuovo “virus” sta circolando?

Si tratta dell’influenza dilagante della serie tv sudcoreana Squid Game, che in realtà la stessa piattaforma di streaming che la trasmette segnala come adatta ai maggiori di 14 anni. Nonostante ciò, bypassando il controllo dei genitori con l’ausilio dei vari social, è diventata virale anche tra i più piccoli, con effetti manifestamente deleteri a causa dei suoi contenuti.

Racconta di 456 adulti con alle spalle fallimenti, povertà, emarginazione sociale, dipendenze come la ludopatia, che accettano di partecipare a delle sfide basate sui giochi dell’infanzia, per poter estinguere i loro debiti. In un contesto sociale sessista e fondato sul potere, chi perde viene ucciso da guardie mascherate, mentre chi riesce a sopravvivere vince una ingente somma di denaro.

La violenza viene banalizzata, con scene di torture fisiche e psicologiche e la morte non risulta essere la cosa peggiore che possa capitare, a confronto delle brutture che caratterizzano le vite dei protagonisti. Senza dimenticare il potenziale traumatizzante di certe scene e il discutibile ascendente che certe pessime dinamiche relazionali potrebbero avere sui giovani spettatori.

 

Per cercare di arginare tale fenomeno, la Fondazione Carolina (Onlus nata per ricordare Carolina Picchio, prima vittima italiana di cyberbullismo e ispiratrice della Legge 71/2017 “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”) ha provocatoriamente lanciato sulla piattaforma Change.org una petizione per bloccare la visione della serie tv. L’intento è principalmente quello di cercare di colmare il vuoto che porta tanti genitori a delegare ai social e al web l’educazione dei propri figli, illudendosi che non abbiano bisogno di una guida per il loro utilizzo consapevole e sicuro e trascurando o ignorando i limiti di età da essi posti (ad esempio, l’età minima per aprire un profilo su Tik Tok e su Instagram è di 13 anni, su WhatsApp e Telegram è di 16 anni). Restrizioni che discendono dalla convinzione che un utente possa avere i mezzi e l'esperienza per interfacciarsi con quel mezzo solo una volta raggiunta quell'età, ma quanti sono i bambini della primaria o i ragazzini della secondaria di primo grado che violano tali limiti? E con quali conseguenze, a breve e a lungo termine?

 

Sempre con lo scopo di ridurre gli effetti negativi di questa recente “mania”, sulla pagina facebook della Polizia Postale è stata pubblicata una serie di consigli rivolta ai genitori:

1.    Ricordate che la serie Squid Game è stata classificata come VM 14 ovvero vietata ad un pubblico di età inferiore a quella indicata. Questa limitazione indica che i suoi contenuti possono turbare i minori con intensità variabile a breve e lungo termine.

2.    Valutate se possa essere utile guardare la serie prima di esprimere assenso o dissenso alla visione dei vostri figli che hanno più di 14 anni: sarete più precisi e consapevoli di quali siano gli elementi critici su cui poggia la vostra decisione e potrete argomentarli in modo convincente ai vostri figli.

3.    Parlate in famiglia della serie, chiedete ai bambini/ragazzi cosa ne pensano in modo che, anche se non hanno il permesso di vederla, siano in grado di partecipare ad eventuali commenti e discussioni con i coetanei.

4.    Ricordate ai bambini/ragazzi che quanto rappresentato nelle serie è frutto di finzione e che la violenza non è mai un gioco a cui partecipare.

5.    Tenete sempre vivo il dialogo familiare sui temi dell’uso delle nuove tecnologie con i ragazzi: ponete loro domande e ascoltate come la pensano. I nativi digitali hanno una visione differente da quella degli adulti e può essere utile conoscere il loro punto di vista sui rischi e sui fenomeni emergenti.

6.    Se avete contezza che stanno circolando tra i bambini/ragazzi giochi violenti che imitano quelle ritratte nella serie, non esitate a segnalare la cosa a www.commissariatodips.it/

 

In generale, va sempre tenuto presente che riguardo l’utilizzo dei vari dispositivi tecnologici, è indispensabile presidiare il COSA, il QUANTO e il QUANDO perché compito di ciascun genitore è favorire la crescita dei propri figli, trovando il giusto compromesso tra la libertà, la necessità di controllo e il bisogno di accudimento.

 

 


martedì 19 ottobre 2021

LA CARRIERA ALIAS COME PREVENZIONE DEL BULLISMO TRANSFOBICO

 














LA CARRIERA ALIAS COME PREVENZIONE DEL BULLISMO TRANSFOBICO

Dott.ssa Paola Scalco, psicologa, specialista in Psicoterapia Cognitiva e Sessuologia Clinica

 

Da mesi si discute di quanto la DaD (Didattica a Distanza) e la DDI (Didattica Digitale Integrata), conseguenti alle alternate chiusure delle Scuole e delle Università in questo lungo periodo pandemico, possano aver avuto conseguenze nefaste sulla preparazione culturale e sulla psiche di ragazze e ragazzi.

Alcuni di loro hanno avuto un motivo di sofferenza in più, che non ha però avuto la rilevanza che a mio avviso avrebbe meritato. Le persone trans si sono trovate costrette a seguire le lezioni online con una piattaforma su cui era riportato il loro nome anagrafico, mentre magari la webcam mostrava un aspetto ad esso non congruente, alimentando le occasioni di cyberbullismo e violenza psicologica, che nel periodo emergenziale di fatto hanno avuto una crescita notevole.

Naturalmente, la situazione ha solo reso più evidente un fenomeno ampiamente diffuso anche quando le lezioni o gli esami si svolgono in presenza: la discrepanza tra l’aspetto fisico e il nome sui documenti è spesso fonte di disagio, discriminazione e stigma e comporta un perenne outing di un’esperienza intima e personale.

Inoltre, venire identificati dagli altri in base al proprio sesso biologico e non secondo la propria identità sessuale, genera continua frustrazione e stress cronico, che hanno un impatto considerevole sul proprio equilibrio psicologico.

Non è un caso che, in generale, tassi di abbandono scolastico e percentuali di tentativi di suicidio siano significativamente maggiori in tali gruppi di popolazione.

La diffusione nelle Scuole Superiori e nelle Università della carriera alias rappresenterebbe un’iniziativa e un impegno concreti che vadano oltre le celebrazioni periodiche di giornate di sensibilizzazione e che aiutino a rendere possibile la piena realizzazione della persona come espresso nella Costituzione e si basino sul rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, sull’uguaglianza fra tutti i cittadini e la non discriminazione.

Per carriera alias si intende un accordo di riservatezza tra Scuola o Università, studente trans e famiglia -se si tratta di studente ancora minorenne- in base al quale è possibile un riconoscimento formale dell’identità di genere che si sente propria, utilizzando nei documenti interni alla Scuola (registro, libretto delle assenze, tabelloni degli esiti, documenti relativi a esami, prove, registrazione delle presenze, card per la biblioteca o la mensa…) il nome di elezione scelto invece di quello anagrafico.

Prima in Italia, già nel 2003 l’Università degli Studi di Torino aveva previsto per le studentesse e gli studenti in transizione di genere un libretto universitario sostitutivo con il nome di elezione scelto dall’interessata/o, valido agli esclusivi fini del percorso di studi, in considerazione del fatto che il procedimento burocratico di rettificazione del sesso era spesso più lungo della carriera universitaria. Con l’avvento dei nuovi sistemi di autenticazione attraverso il rilascio di credenziali legate ai dati personali delle studentesse e degli studenti è stato necessario emanare nel 2015 un nuovo Regolamento per l’attivazione e la gestione della carriera alias per soggetti in transizione di genere (D.R. n. 2330 del 29.06.2015), “volto a garantire agli studenti e alle studentesse in transizione di genere di poter vivere in un ambiente di studio sereno, in cui i rapporti interpersonali siano improntati alla correttezza, al reciproco rispetto delle libertà e dell’inviolabilità della persona.” Ciò significa che, documentando la presa in carico del/della richiedente da parte di una struttura sanitaria per l’attivazione di un percorso medico e psicoterapeutico mirato ad una eventuale riassegnazione del sesso (L. 164/1982), è possibile richiedere all’Ateneo di ottenere l’assegnazione di “un’identità provvisoria, transitoria e non consolidabile” in attesa della conclusione del procedimento di riassegnazione di genere e la conseguente sentenza del Tribunale.

Nell’estate 2021 anche l’Università del Piemonte Orientale ha definito un suo regolamento interno con lo scopo di «consolidare l’appartenenza alla comunità universitaria e garantire il benessere di chi ne fa parte», in virtù del quale l’ateneo “si impegna a considerare la persona con il genere che ha scelto anche se la transizione non è conclusa formalmente per lo Stato, l’interessato riconosce che la «carriera alias» non ha valore legale al di fuori dell’università ed è quindi provvisoria”.

Dal momento che non è necessario essere maggiorenni per iniziare tale percorso (in Piemonte il Centro di riferimento regionale per la disforia di genere in età evolutiva si trova all’Ospedale Regina Margherita di Torino), sarebbe opportuno che anche le Scuole Secondarie di Primo e Secondo Grado iniziassero a riflettere, in un’ottica di vera prevenzione di bullismo, disagio psicologico e abbandono scolastico, sull’importanza del tema e ad attivarsi di conseguenza, come timidamente si è iniziato a fare in giro per l’Italia.

Ad oggi, purtroppo questa procedura viene lasciata a singole iniziative, che si basano sulle norme relative all’autonomia scolastica, ma l’auspicio è che si giunga alla stesura di Linee Guida da parte del Ministero dell’Istruzione e di quello dell’Università che uniformino i protocolli e siano riferimenti univoci per stilare i regolamenti.

Tale lacuna, però, non deve costituire un alibi per rimandare a tempo indeterminato una questione che nella realtà quotidiana è indifferibile.


martedì 25 maggio 2021

COME UN FOGLIO DI CARTA STROPICCIATO

 



COME UN FOGLIO DI CARTA STROPICCIATO 

dott.ssa Elisa Lupano - Pedagogista, Counsellor, già giudice onorario Tribunale dei Minori di Torino

Storia di un laboratorio sul bullismo e il cyberbullismo 

in condizioni “straordinarie”

Quest’anno scolastico, l’associazione Mani Colorate e il suo progetto Informi@moci, abbiamo incontrato moltissimi bambini e ragazzi. Siamo entrati in tutti gli ordini di scuola, dalla Primaria alla scuola secondaria di II grado. Li abbiamo incontrati in DAD, tutti a casa e collegati ognuno con un dispositivo, o in remoto, attraverso la LIM, quando i ragazzi erano già ritornati a scuola, ma i dirigenti non permettevano la presenza di personale esterno nella scuola. Poi siamo anche riusciti ad essere in presenza, soprattutto in alcune scuole primarie, dove il parlarsi faccia a faccia, anche se con la mascherina, ci ha dato di nuovo l’entusiasmo di sentirci più vicini. Abbiamo proposto video, storie, piccole attività che potessero far sentire tutti ascoltati, e belli e importanti nelle rispettive diversità, perché tutti sentissero che, se volevano, potevano parlare di sé senza timore di essere giudicati, anzi, ogni racconto sarebbe stato prezioso per tutti. Abbiamo dovuto rinunciare a qualche piccolo gioco per “scaldare” l’ambiente, al sedersi in cerchio, dove tutti sono in prima fila e nessuno è escluso dai racconti che si vogliono portare. Tutti gli insegnanti ci hanno aiutato, per rendere gli incontri con i ragazzi quasi normali anche dove “normali” non potevano essere.

In alcune classi siamo stati chiamati espressamente dagli insegnanti perché qualcosa non funzionava. In queste classi siamo riusciti lavorare in presenza. In altre siamo stati chiamati perché “di queste cose è sempre utile parlarne”. E i bambini e i ragazzi, più a loro agio di noi, più capaci di tutti ad adattarsi anche in condizioni estreme, ci hanno fatto spesso commuovere e riflettere, raccontandoci le loro storie. Eccone alcune

Dario

Dario (nome di fantasia) è entrato nella classe dopo essersi trasferito con la famiglia, non conoscendo nessuno. Il gruppo classe è ben amalgamato perché, trattandosi di una scuola di un paese della provincia di Asti, tutti si conoscono da tempo, e tra i compagni c’è chi ha fatto tutte le scuole insieme, fin dalla scuola dell’infanzia. Entrare nel gruppo non è facile, e Dario cerca di entrarci con gli strumenti che ha e che conosce. Si “attacca” ad una ragazzina della classe, e le sta addosso, perché gli piace. Va avanti un po’ di giorni e poi il gioco incomincia a dar fastidio alla ragazzina, che non lo vuole più. Lui insiste, ma al suo rifiuto, incomincia a tartassarla al cellulare, insultandola, e scrivendole frasi pesanti, che la ragazzina fa leggere alla mamma che a sua volta segnala il fatto ai professori. Dario viene messo alle strette, sulle prime dice che non le ha scritte lui quelle frasi, e accusa un compagno. Poi cede e ammette.  Quando arriviamo noi la classe ha fatto muro contro di lui. Non gli perdonano di aver accusato un compagno al posto suo, mentre lui, nel suo desiderio non accolto di essere accettato dal gruppo, si è ancora più indurito e arroccato nelle sue posizioni, poco convinto della gravità di ciò che ha fatto. Con la classe si parla a lungo, e si cerca di mettere in luce i sentimenti di ognuno rispetto ai fatti. Il compagno accusato, che è ancora più deluso per il fatto che si conoscevano già, ed erano amici, una volta. La ragazzina, che lo ha già perdonato, perché ha capito, ma comunque Dario non le sta simpatico lo stesso. I compagni, che si sentono attaccati come gruppo. E infine Dario, e il suo bisogno di essere accolto, anche se non lo dice mai, e che fa sempre più il duro. Li aiutiamo a parlare, guardandosi negli occhi e dicendosi che cosa provano, e ad ascoltarsi, chiedendo loro di provare a capire i sentimenti di tutti.  Anche se sappiamo che il nostro intervento non può essere risolutivo, è stata un’occasione per parlarsi e i ragazzi non l’hanno sprecata. 

I professori in DAD





Tanto tempo davanti al PC. I prof che parlano. Dopo un po’ arriva la noia. Per fortuna si può tenere il video spento, con la scusa che la connessione è lenta. Intanto che si ascolta, si può fare anche altro. Come ad esempio fare la foto ai prof e metterla sulla chat di classe. Così, per ridere, e poi, visto che ridono tutti, non ci va tanto a scriverci sotto una frase ridicola, per ridere ancora di più. Qualche mamma (che non rinuncia a vigilare su ciò che scrivono o leggono i loro figli in chat) se ne accorge e lo comunica a scuola. I ragazzi vengono sgridati e puniti, hanno 12 anni, non avevano gli strumenti per capire che quello che hanno fatto era un reato. I loro docenti ci lasciano da soli in classe, dicendoci “così si sentono liberi di parlare”, ma non ci spiegano cosa è successo. Il fatto viene fuori quasi per caso, quando chiedo se hanno una chat di classe e mi rispondono “non più”. Non più perché? E raccontano. Ma raccontano anche quanto stanno male, e quanto nella classe si sia “rotto qualcosa”. Stanno male perché hanno capito che è una cosa grave mettere una foto non autorizzata sui social, non lo sapevano, lo hanno fatto con l’idea di fare uno scherzo. Ma si è rotto qualcosa perché non tutti erano d’accordo, qualcuno sapeva che non si poteva fare, ma non hanno detto niente. Questi ragazzi sono quelli che si sentono più colpevoli. “io sapevo che non era una cosa da fare, ma non ho avuto il coraggio”, ha detto una di loro. Si, non ho avuto il coraggio: il coraggio di essere diversa, di non ridere anch’io, di dire che stavano sbagliando. A 12 anni essere nel gruppo è la cosa più importante. Uscirne fuori, dissentire dal pensiero comune richiede uno sforzo enorme. Ma poi si sta male perché ci si sente responsabili.  Purtroppo non aiuterà questa ragazzina sapere che molti adulti non ce l’hanno questo coraggio, in diverse occasioni.

Vittime di bullismo

Tantissimi sono state le storie in cui ci si è sentiti “bullizzati”. Si usa questo termine in modo generico, ad indicare tutte le volte che ci si è sentiti presi in giro, esclusi, insultati, anche se non si tratta di vero e proprio bullismo, ma le definizioni non sono importanti. La sofferenza invece è sempre la stessa. Molti bambini già nella scuola primaria raccontano di aver subito prepotenze già quando erano più piccoli, e alcuni di loro rivivono quel dolore nel raccontarlo, anche se sono passati degli anni. “Ci vuole poco tempo per prenderci in giro, ma tanto tempo per venirne fuori”, dice un bambino di 10 anni. Ma da queste sofferenze bisogna venirne fuori: in che modo? Parlandone con i veri amici, quelli che ci sono più vicini, a volte con chi ha vissuto le stesse esperienze, perché è più in grado di capire. La paura a parlare è tanta anche perché si ha paura di essere presi in giro da chi abbiamo scelto come amico per parlarne. Poi certo, anche con gli adulti, anche se qualche volta “hanno tanto da fare e molte altre preoccupazioni”. A scuola è importante parlarne con gli insegnanti, che possono intervenire, ma prendere provvedimento spesso non risolve la situazione. È importante reagire, parlarci con il bullo, farsi coraggio: “noi siamo bambini e dobbiamo crescere bene, e anche tu (il bullo) devi crescere bene”. Capire che abbiamo altre potenzialità, come dice qualcuno: “venivo preso in giro perché sono scarso a giocare a pallone, ma io sono più bravo di loro a scuola”, e vincere la timidezza e farsi più amici. L’esperienza del bullismo ci cambia, qualche volte ci rende più forti, e altre più deboli.  

La maggior parte racconta storie di prepotenze agite con le parole, perché le parole “fanno tanto male e lasciano cicatrici nella mente e nel cuore”. Il cuore diventa come un foglio di “carta stropicciato, che anche se lo allarghiamo di nuovo, le pieghe si distendono ma non spariscono”.

Ma sarà comunque un foglio dove potremo scrivere e colorare un nuovo, meraviglioso racconto.